I mezzi giustificano il fine

(cioè, se i mezzi non funzionano, il fine è errato!)

Nazione, nazionalità e nazionalismo

Questo video pone dei problemi interessanti, ma nessuna soluzione. Cos’è la Nazione e cos’è il Nazionalismo? C’è una parte, quella sullo “studio sull’autostima”, che è spiegata molto male oppure è fuffa completa. Ma lo spunto rimane: nel 2018, è molto più facile cambiare religione, cambiare stato di famiglia, cambiare genere, che cambiare nazionalità. La nazionalità è qualcosa con cui nasciamo, ma che non è definito in nessun modo – infatti esiste uno ius soli e uno ius sanguinis che competono per questa definizione. Ma se è lecito cambiare genere, cambiare religione, cambiare sé stessi, perché non è nemmeno pensabile cambiare nazionalità?

Il più grosso ostacolo sta nel concetto di cittadinanza, che viene sovrapposto con quello di nazionalità ma che nell’età delle migrazioni perde completamente di senso. L’Unione Europea dovrebbe fare di più in questo senso.

TBC – forse

 

 

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Protetto: La Seconda Repubblica

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Il disastro politico di questo paese

è uno specchio della società. E le sue radici sono etiche. Scusate lo sfogo.

Nel momento in cui si sposta la dignità dalle persone alle loro opinioni, tutto è lecito: qualunque stupidaggine ha lo stesso valore di qualunque verità, e l’insulto è gratuito.

Mi era stato insegnato che tutti hanno diritto di esprimere la loro opinione, per quanto insensata fosse, perché tutti hanno la stessa dignità, in quanto umani e cittadini. Invece vedo applicato nella realtà il contrario: ogni opinione ha dignità, ma le persone che le portano avanti possono essere insultate e caricate di odio. Mi è evidente come questa inversione non abbia senso, ma è altrettanto evidente ai miei occhi come si ripeta lo stesso schema: ho diritto a esprimere le mie idee, quindi le mie idee hanno dignità.

E invece no. Le idee non hanno dignità in quanto idee, non possono essere espresse perché tutelate dalla libertà di espressione. La libertà tutela le persone, e solo queste hanno dignità.

Il problema non è che l’idiota ha la stessa dignità del saggio, il problema è che non esistono l’idiota ed il saggio, ma idee idiote ed idee sagge, e persone che le esprimono. Devono essere libere di esprimersi, perché il giudizio non può mai essere anteriore, ma sempre posteriore.

E deve essere tutelata la dignità di una persona, anche se dice delle idiozie. Deve essere chiaro che l’idiozia è un’idiozia, non che chi dice un’idiozia è un idiota ma può aprire bocca. Le persone sono sfaccettate, possono cambiare parere, possono avere punti di vista diversi. Ma le idee hanno conseguenze, e non le si può difendere a prescindere. Bisogna difendere il diritto delle persone a dire cose stupide, invece vedo nel quotidiano la strenua difesa di qualunque punto di vista, purché esista e solo perché esiste. La diretta conseguenza di questo è l’odio verso il diverso: poiché non posso odiare un’idea, che magari è aberrante, sono costretto ad odiare chi la esprime, perché se una cosa mi ripugna, non posso accettarla.

Bisogna accettare il diverso, quando il diverso è una persona, non quando è un’opinione. Un’opinione ha una dignità relativa, nel suo contesto, che può essere scientifico, etico, politico, o altro. Ma ha un metro con cui essere misurata, con cui essere etichettata come giusta o sbagliata, come aberrante, come avente o non avete diritto. E ognuno decide quali idee hanno diritto di esistere nel proprio riferimento. Accettare la libertà non significa accettare tutto purché sia, significa accettare che altri la pensano in maniera diversa, magari oggettivamente sbagliata (nei contesti in cui oggettivo ha un significato), ma senza scambiare l’ordine delle cose.

Le idee sono stupide e possono essere odiate, le persone no. Ma il potere esprimere le idee, non siginifca doverle accettare tutte: questo è peggio del relativismo etico, è peggio del nichilismo, è semplicemente stupido, perché tutto ed il contrario di tutto significa semplicemente niente. E per non dire niente si può evitare di sprecare tempo.

Scusate lo sfogo, di nuovo.

 

 

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Tutto Rifkin

In un unico post!

Se non sapete chi è Rifkin, è il momento buono per scoprirlo

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Alcuni errori comuni

Ho cercato di capire quali sono gli errori più comuni che vengono commessi in una organizzazione, indipendentemente dal suo livello di complessità. Sono riuscito a classificarli in 3 macro-categorie: errori sul tempo, errori sulle persone, errori sulla comunicazione. Sulla comunicazione poi ci sono delle ulteriori sotto-categorie.
Ho deciso di postare le mie riflessioni perché anche se lo scopo primario del blog è cercare di diffondere buone pratiche, le riflessioni su come ottenere questi risultati sono a mio parere sempre utili.
Per quanto riguarda le 3 categorie:
– il tempo su cui agiamo è il presente, imparando dal passato e modificando per quanto possibile il nostro futuro;
– le persone sono il costituente principale delle organizzazioni, tutto il resto è passante, perché informazioni e materiali entrano in un modo ed escono modificati, oppure modificano le persone;
– la comunicazione interna è fondamentale per il funzionamento dell’organizzazione, perché come dice Protagora “sapere una cosa ma non saperla dire è come non saperla”*.
Gli errori compiuti su queste tre categorie sono i più gravi ed i più comuni ed è sempre meglio prevenirli. Tuttavia il primo passo è individuarli nel caso li avessimo già commessi.

Come si vede dal grafico inoltre ci sono errori che rientrano in due o addirittura in tutte e tre le categorie.

*libera traduzione.

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In risposta ad un amico

… che scrive “la democrazia non funziona” e molte altre cose che non riporto e spero non me ne vorrà male se semplifico il suo pensiero.

Vince chi ha lo slogan più idiota perché la democrazia ha bisogno di manutenzione e di formazione continua. Se scuole, giornali, intellettuali, eccetera fanno male il loro lavoro, allora quello che non funziona è il fatto di conservare la forma della democrazia senza la sostanza. Se i diritti non sono di tutti ma solo di alcuni, se la legge non viene applicata, se quando viene applicata lo è in maniera iniqua, allora stai conservando la forma della democrazia senza la sostanza. Se esistono sperequazioni economiche tali per cui ci sono persone costrette a delle scelte, ci sono persone che devono pagare i propri diritti con i propri soldi, allora c’è la forma della democrazia ma non la sostanza. La democrazia è un sistema complesso il cui risultato non deve essere la spartizione delle risorse ma la circolazione delle idee e la moltiplicazione del benessere. E’ chiaro che votare non significa nulla se la scelta è fra alternative insensate.

Il nostro paese paga il fallimento della classe dirigente che ora ha 50-60 anni: non hanno saputo intercettare i cabiamenti del mondo (e non era facile, gliene dò atto), ma cosa ancora più grave non hanno saputo formare i loro successori, prediligendo la lealtà alla competenza e una volta che si sono resi conto di questo non hanno saputo e soprattutto non hanno potuto passare la mano. Ma questo non c’entra nulla con la democrazia: colpevolizzare le idee, siano essere religiose, politiche o altro, è come colpevolizzare una razza o una professione. Significa derogare al principio di responsabilità individuale che è uno dei pilastri della democrazia stessa. Dire “la democrazia non funziona” è solo un altro modo di dire “basta euro”, è un modo di trovare un capro espiatorio che non si può difendere perché è solo un concetto astratto.

La colpa è di chi fa le cose sbagliate, di chi le fa male, o di chi non le fa quando dovrebbe. Ma è molto difficile trovarli, e soprattutto è inutile, perché l’entropia dell’universo ci porta a poter agire solo sul futuro e non sul passato, che ci serve per riflettere e non da compiangere.

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Produttività, cioè?

Riprendo da un aggiornamento che mi ero dato per Aurora.

Che senso ha un ospedale che si dà un obiettivo di interventi in sala operatoria o di codici gialli o rossi in pronto soccorso?

Semplice: serve a dimensionare le spese indirette.  Nel caso di un ospedale, poiché i medici per fortuna non sono pagati a prestazione, la “produttività” di un ospedale è data dal numero di interventi (sala o pronto soccorso, per esempio) diviso il numero di medici. Un calcolo più sensato potrebbe ridimensionare questo numero qualora i medici siano oberati di lavoro (come in effetti avviene spesso), ma per capirci possiamo fingere che ci sia una banale proporzionalità diretta e non una funzione a campana.

Il problema però potrebbe essere visto alla rovescia: se io voglio ottenere un certo numero di interventi per essere nell’optimum, come faccio? Basterebbe allargare o stringere il territorio rendendolo “fluido”: un ospedale che serva un comprensorio di un certo tipo potrebbe scambiarsi prestazioni con gli ospedali dei comprensori confinanti. Per fare questo è però necessario tutta una infrastruttura tecnico-informatica e sociale (ad esempio la disponibilità dei pazienti).

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Il prezzo della storia

Tempo fa ho sentito in treno due studenti discutere di politica e futuro. Uno dei due (scienze politiche) sosteneva l’idea di cambiare il mondo e l’altro (storia) quella di salvarsi ognuno per sé. Sul momento non ho riflettuto che il dialogo poteva essere archetipico, anche se col senno di poi mi sono reso conto che di questo si trattava: cambiare il mondo o salvarsi da soli?

Da lungo sostengo la necessità di cambiare il mondo, anche se trovare due persone d’accordo sul come è molto difficile… Sul momento quindi ero semplicemente irritato per il discorso dello struzzo dello studente di storia. Poi ho riflettuto a lungo sul come lui poneva il problema. Sintetizzo: “l’impero romano era decadente, si è ripreso solo quando la nuova linfa dei barbari ha sostituito la classe dirigente. Questo paese fa schifo, l’unico modo di salvarsi è distruggerlo e ricostruire da zero.” Aldilà dei numerosi errori etici (dal mio punto di vista) di questo discorso, non ultimo il fatto che una cosa rotta si butta via e si compra nuova, mi sono chiesto: cosa ne pensano le persone che pagano il prezzo della storia?

Vivere all’alba del III millennio ha i suoi indubbi vantaggi (mai c’è stata così poca povertà, mai c’è stata così tanta popolazione, e via discorrendo), ma quale prezzo abbiamo pagato per arrivare a questo? Quante persone sono morte per ottenere i nostri diritti, la nostra ricchezza? E quante hanno sofferto? L’Europa, per guardare solo al mio orticello, non ha mai avuto così tanta uguaglianza e pace: ma quanti morti e quante dittature ci sono state solo il secolo scorso?

In definitiva tutti i discorsi economici o almeno i due principali sulla scena politica da oltre 150 anni, dicono questo: socialismo e liberismo costruiscono un futuro migliore, ma a quale prezzo?

L’economia capitalista ha una capacità incredibile di creare e distribuire ricchezza (è un gioco a somma positiva), ma a quale prezzo? Perché il gioco è vincente nel lungo periodo, come dimostra il fatto che in circa 5 secoli siamo passati dal medioevo a internet anche grazie all’allargamento dei mercati, ma la vita delle persone potrebbe essere troppo corta per coprire questo lungo periodo… Cosa penso del liberismo lo esprime bene la canzone degli ABBA “the winner takes it all”.

Il socialismo come dottrina politica parte da posizioni dichiaratamente avverse al capitalismo per approdare, nella versione social-democratica, ad accettarlo come “male necessario” al superamento delle discriminazioni sociali. Lo scopo della socialdemocrazia dovrebbe essere dunque quello di superare il capitalismo come dottrina economica, ma “nei tempi lunghi della storia”. In pratica la sinistra occidentale si è smarrita e sembra navigare a vista, senza cercare di sostituire il concetto di ricchezza con quello di benessere se non a livello “artigianale” introducendo diritti e cercando di ridistribuire ricchezza tramite servizi equi e tassazione progressiva. Non c’è però un progetto se non appunto di lunghissimo periodo, in cui ancora una volta sono in molti a pagare il prezzo della storia.

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Progetto Aurora

Spazio Aurora è una associazione che si occupa di assistenza psicologica e legale ai minori vittime di violenze, bullismo o abusi. Agiscono su tutto il territorio italiano, ma hanno sede a Cento (Ferrara).

In effetti fanno molto altro: assistono adulti con un passato di violenze o i familiari di minorenni scomparsi o che hanno subito violenze. E poi formazione, informazione, e altro ancora.

Perché parlo di loro? Ho cominciato a collaborare con questa associazione per stendere un bilancio sociale e spero di migliorare soprattutto il loro fundraising, ne hanno un gran bisogno!

Aggiornamento del 20/02/2014: ho chiesto loro che obiettivi si sono dati quest’anno, ma non di fundraising, bensi di aiuto! Che senso può avere darsi degli obiettivi in questo campo?

C’è un problema di produttività. Se le spese dirette sono infatti “a cottimo” (non nel caso dell’ospedale ma nel caso di Aurora) le spese indirette devono essere dimensionate sul numero di prestazioni, altrimenti diventano spreco e/o inefficienza.

Vedi questo post…

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Marinaleda

Prendo spunto da questo articolo, e considero che le informazioni siano corrette. Laddove non lo fossero, questo post è da ritenersi un esercizio teorico.

Saltiamo le obiezioni facili: funziona perché è un mercato chiuso, funziona perché è un mercato aperto, funziona perché è nel piccolo, eccetera. Non ho i dati per queste obiezioni che quindi sarebbero opinioni contrapposte ad un fatto: non c’è disoccupazione. Un dato ed una obiezione interessanti sarebbero invece la valutazione del tasso di emigrazione: un modo per raggiungere la piena occupazione è che i disoccupati vadano a cercare lavoro altrove.

Per quanto concerne questo blog però il dato che mi incuriosisce e mi interessa è che l’obiettivo sia la piena occupazione. Come in molti altri casi, mi sembra sempre che si confondano i mezzi con gli scopi. La piena occupazione è lo scopo? O è il benessere sociale e individuale? A cosa rinuncianogli abitanti di Marinaleda, ammesso che a qualcosa rinuncino, per essere tutti occupati?

Apriamo una parentesi: vi ricordo che la legge Biagi, la 235/2003, ha aumentato l’occupazione in un periodo in cui il PIL non è aumentato in maniera corrispondente e addirittura è diminuito. Questo significa, facendo i conti della serva, che gli stipendi sono calati. (dati mancanti)

E’ presto detto (basta leggere il resto dell’articolo): “Il salario è lo stesso per tutti, qualunque sia la mansione”. Questo comporta:

  • disincentivo allo studio, alla ricerca, all’investimento tecnologico
  • disincentivo all’emancipazione, alla valorizzazione del sé e delle differenze
  • svalorizzazione del lavoro, della qualità dello stesso, del tipo di lavoro, della sua effettiva utilità
  • valorizzazione del tempo come unica risorsa individuale e ancora una volta omologazione, abbattimento della produttività
  • monetizzazione del tempo libero e della propria identità individuale

Perché accade questo? Perché si è confuso un mezzo con un fine: la piena occupazione non è un valore in sé, perché un tasso fisiologico di disoccupazione crea migrazioni, che nel lungo periodo sono un bene per tutti, innovazione (non ho un lavoro, me lo devo inventare).

Per essere più precisi, si è compiuto il più banale degli errori logici:

“se da A consegue B, allora da NOT(A) consegue NOT(B)” è una formula sbagliata. La forma corretta a rigor di logica è:

“se da A consegue B, allora da NOT(B) consegue NOT(A)”.

Se dalla disoccupazione consegue infelicità, allora dalla piena occupazione consegue felicità è un errore logico. Formalmente è:

“se dalla disoccupazione consegue infelicità, allora dalla felicità consegue piena occupazione”, il che è sorprendente ma corretto da un punto di vista matematico. Però quello che vediamo è che la disoccupazione cala in quei paesi in cui il benessere sociale è visto come fine ultimo e questo viene raggiunto anche tramite, ad esempio, la cultura, che è un mezzo come un altro per rendere felici le persone.

 

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