I mezzi giustificano il fine

(cioè, se i mezzi non funzionano, il fine è errato!)

“Ci vorrebbe una patente per votare”

Il titolo è virgolettato perché non ne condivido il messaggio.

Però mi pare un ottimo spunto di riflessione: è sbagliato su così tanti livelli che risulta difficile credere che persone intelligenti possano condividere tale pensiero.

Altri hanno sottolineato, prima e meglio di come posso fare io, perché è antidemocratico: il suffragio universale può essere usato come feticcio dalle più efferate dittature, ma è condizione necessaria, ancorché non sufficiente, alla democrazia. Certo può essere mitigato, deve essere responsabilizzato, ma proprio per questo è nata la democrazia rappresentativa: un compromesso fra la responsabilità individuale dei decisori e la volontà popolare degli elettori.

Il limite della nostra democrazia si vede chiaramente nel suffragio universale, in particolare nei risultati elettorali che non ci rappresentano o non ci piacciono, perché la pagliuzza nell’occhio altrui è più evidente della trave nel nostro. Ma se è vero che l’analfabetismo funzionale in Italia ha livelli preoccupanti. allora la democrazia viene a cessare prima del voto, e non si può sperare di raddizzare un torto (la mancanza di strumenti per comprendere la complessità) con un altro torto (la negazione del diritto di voto a chi non ha questi strumenti).

Cos’è la democrazia? Il rendere accessibile a tutti le stesse possibilità, perché dare potere al popolo quando il popolo è eterogeneo significa di fatto dare potere a quelli che sono capaci di approfittarsi degli altri. Dunque, se io non ho accesso alle risorse intellettuali mie o altrui, perché ho avuto una educazione povera, se non ho accesso alle informazioni necessarie a decidere perché la stampa ha un effetto distorsivo sulla realtà, se non ho l’emancipazione economica, cioè sono ricattabile, come posso dirmi libero e quindi partecipare al potere decisionale? 

Si è lottato per permettere il voto anche a chi non è emancipato economicamente, perché non permetterlo anche a chi riceve informazioni false o non è in grado di capire?

Ma il vero motivo per cui non ha senso istituire una patente per il voto, dopo tutta questa filosofia, e anche dopo tutte le dissertazioni tecniche del caso – quale test, chi decide, come si perde e come si guadagna questo diritto – alla fine di tutto rimane l’esempio lampante. 

In Italia serve una patente per guidare l’auto. Il 93% degli incidenti è causato dal fatto che il guidatore non ha rispettato le regole, che ha già dimostrato di conoscere e saper applicare in due distinti esami, teoria e pratica. Quasi 4 italiani su 5 inoltre affermano di essere “rispettosi delle regole indipendentemente dalla presenza di un controllo” e 9 su 10 di essere assolutamente sicuri del controllo che hanno del proprio mezzo. Infine, la maggior parte delle vittime non sono coloro che causano incidenti ma gli altri, in primo luogo i pedoni. (non trovo la fonte primaria di questi dati, diffusi su diversi canali periodicamente)

Non è una meravigliosa metafora della politica? La colpa è degli altri, dal momento che se facessimo un esame sarei in grado di dimostrare che ne so più degli altri. Facciamola, questa patente per votare, e dimostriamo una buona volta che i problemi non esistono…

 

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Tutto Rifkin

In un unico post!

Se non sapete chi è Rifkin, è il momento buono per scoprirlo

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La riforma della scuola

Non ho ancora un’opinione formata né informata su questa riforma – se mi passate il gioco di parole, per cui vi giro quella di Wittgenstein che assomiglia a come sarebbe la mia se l’avessi.

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La cultura sorda

Riposto un interessante articolo del Post che ben mi ha colpito soprattutto per la concomitanza con i miei studi del momento. In senso stretto ci si potrebbe chiedere se è giusto permettere ad una menomazione (questo il termine tecnico) di permanere solo perché “i primi a volere la schiavitù sono gli schiavi, perché la libertà è troppo pesante da portare”. Se mi passate la metafora, la cultura che si è costruita attorno e grazie alla sordità è un feticcio a cui attaccarsi per evitare la fatica di integrarsi.
Ma ovviamente questo è solo metà del problema: perché in realtà cosa vuol dire integrazione se non il superamento hegeliano della contrapposizione fra segregazione e omologazione? Detto in maniera più semplice: con che diritto si definisce “standard” “normale” e “sano” il fatto di avere una coclea funzionante, soprattutto considerato che stiamo parlando di persone nate così? In loro difesa potrebbero citare l’eugenetica come avversario, ma sarebbe ovviamente una semplificazione perdente perché in effetti qualunque cura di un difetto congenito è in senso ampio eugenetica.
Dobbiamo perciò ricorrere ad argomentazioni più profonde, perché da un lato non è scontato ciò che viene definito malattia e conseguentemente cura, se la persona non si vuole curare, e dall’altro abbiamo un senso ampio e profondo di democrazia intesa come salvaguardia della dignità individuale e valorizzazione delle differenze. Occorre ricordare che – cosa che ho imparato da poco – a disabilità è prima di tutto un problema di come sono strutturati l’ambiente fisico e quello sociale e non solo una conseguenza medica di un trauma o di un errore di programma.
Facciamo una ardita metafora. Ammettiamo che esista un paese, la Pronziskia (dedicata al mio professore), in cui va al potere quella che noi definiremmo una teocrazia. I teocrati sostengono che l’anima è una funzione basilare della mente e del cervello umani e quindi non avere la percezione del sacro e in particolare della loro fede è una grave menomazione genetica incurabile. Essendo incurabile se non per auto-certificazione (quella che noi chiameremmo conversione), ed essendo una grave distorsione della percezione del mondo, coloro che non credono sono privati dei diritti civili (non di quelli umani). Chi non crede nell’Unica Vera Religione sarà lasciato libero di vivere la sua vita ma escluso dal potere politico perché chiaramente incapace di percepire la vera essenza della realtà e come tale minorato in maniera inconciliabile con l’esercizio della democrazia. La Pronziskia è un paese democratico? E’ democratico un paese che decide che alcuni suoi abitanti non sono in alcun modo integrabili nella società perché mancano di una funzione fondamentale del cervello? Soprattutto chi certifica le funzioni cerebrali? Attualmente l’OMS, ma ovviamente un gruppo di scienziati ciechi non definirebbe standard la cecità e millanteria coloro che dicono di vedere?
Prendete la metafora per quello che è, una metafora. Ma il problema di fondo rimane: è democratico un paese che cerca di omologare coloro che sono disfunzionali secondo uno standard definito? O la ricchezza non sta forse nella differenza? Il problema si pone perché esiste la libertà di rifiuto della cura.
Prendiamo ora la democraticissima città stato di Dottoropoli, confinante alla Pronziskia e sempre in pessimi rapporti con questa. A Dottoropoli esiste la libertà di cura, tranne per le malattie ritenute socialmente pericolose. Coloro che presentano disfunzioni cerebrali e mentali che possono essere causa di disordine sociale sono obbligati alla cura o alla reclusione. La fede nell’Unica Vera Religione è considerata una disfunzione con obbligo di cura o alternativamente reclusione. Dottoropoli è una città democratica?
Adesso che vi ho posto il problema e come al solito non ho una soluzione, mi scuso coi miei lettori per la prolungata assenza.

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In risposta ad un amico

… che scrive “la democrazia non funziona” e molte altre cose che non riporto e spero non me ne vorrà male se semplifico il suo pensiero.

Vince chi ha lo slogan più idiota perché la democrazia ha bisogno di manutenzione e di formazione continua. Se scuole, giornali, intellettuali, eccetera fanno male il loro lavoro, allora quello che non funziona è il fatto di conservare la forma della democrazia senza la sostanza. Se i diritti non sono di tutti ma solo di alcuni, se la legge non viene applicata, se quando viene applicata lo è in maniera iniqua, allora stai conservando la forma della democrazia senza la sostanza. Se esistono sperequazioni economiche tali per cui ci sono persone costrette a delle scelte, ci sono persone che devono pagare i propri diritti con i propri soldi, allora c’è la forma della democrazia ma non la sostanza. La democrazia è un sistema complesso il cui risultato non deve essere la spartizione delle risorse ma la circolazione delle idee e la moltiplicazione del benessere. E’ chiaro che votare non significa nulla se la scelta è fra alternative insensate.

Il nostro paese paga il fallimento della classe dirigente che ora ha 50-60 anni: non hanno saputo intercettare i cabiamenti del mondo (e non era facile, gliene dò atto), ma cosa ancora più grave non hanno saputo formare i loro successori, prediligendo la lealtà alla competenza e una volta che si sono resi conto di questo non hanno saputo e soprattutto non hanno potuto passare la mano. Ma questo non c’entra nulla con la democrazia: colpevolizzare le idee, siano essere religiose, politiche o altro, è come colpevolizzare una razza o una professione. Significa derogare al principio di responsabilità individuale che è uno dei pilastri della democrazia stessa. Dire “la democrazia non funziona” è solo un altro modo di dire “basta euro”, è un modo di trovare un capro espiatorio che non si può difendere perché è solo un concetto astratto.

La colpa è di chi fa le cose sbagliate, di chi le fa male, o di chi non le fa quando dovrebbe. Ma è molto difficile trovarli, e soprattutto è inutile, perché l’entropia dell’universo ci porta a poter agire solo sul futuro e non sul passato, che ci serve per riflettere e non da compiangere.

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Le primarie del PD: un’operazione di marketing sociale

Domenica scorsa i militanti ed i simpatizzanti del PD hanno votato per eleggere il segretario nazionale del PD.

Formalmente questa elezione è lontana dalle politiche, anche se i dietrologi sono al lavoro 24 ore su 24 per fornire spiegazioni più convincenti del perché e del percome. Una delle domande più frequenti è “perché per eleggere un segretario si fanno votare anche i non iscritti?”, subito seguita dalla sottolineatura che il dato delle primarie è in questo caso molto discordante con quello dei circoli e quindi a maggior ragione non si sarebbe dovuto fare. “Quando si nomina un amministratore di condominio votano solo quelli del condominio, non quelli di tutta la città” o “quando si elegge il sindaco di una città non votano tutti gli italiani”.

Gli errori che a mio parere sono insiti nel ragionamento sono di due tipi: uno di tipo logico e uno di tipo pratico. Specularmente, i motivi per cui il PD ha scelto di fare le primarie sono due: uno ideologico che risponde all’errore logico e uno di opportunità che risponde all’errore pratico.

L’errore logico è considerare le ricadute di quello che facciamo solo nell’ambito circoscritto in cui operiamo. Esistono stakeholder aldifuori della nostra organizzazione, sia essa un partito o una azienda. Il sindaco di una città prenderà decisioni le cui conseguenze ricadranno anche su quelli che in città ci lavorano senza abitare o aver diritto di voto: immigrati, pendolari, eccetera. Quindi se il sindaco fosse eletto dai lavoratori della città la cosa non sarebbe così strana, o no? Il condominio deciderà se far passare la pubblicità, come e quanto pulire, riscaldare, eccetera: queste scelte ricadranno sia sui fornitori pagati che non dovrebbero avere più di tanto voce in capitolo che sui fornitori “estranei”, ad esempio i postini, i quali si adatteranno a decisioni altrui. Il PD ha ideologicamente considerato che essendo il partito di maggioranza relativa in parlamento e nel governo, le sue decisioni influenzeranno la vita di tutti gli italiani, sia quelli che lo hanno votato l’anno scorso (con un candidato e segretario diversi) sia tutti quelli – la maggior parte – che non lo hanno votato.

L’errore pratico è pensare che il risultato di questa operazione allargata sia invalidato dalla discrepanza con il voto degli iscritti. Se il voto delle primarie dovesse coincidere o allinearsi col voto degli iscritti, le primarie stesse sarebbero una perdita di tempo. La differenza di voto invece serve a capire qual è l’interesse dell’utente primario, ovvero il proprio elettore fidelizzato, quello che va a votare alle primarie. L’opportunità, per il PD, è stata duplice: una prova di forza (circa 2 milioni e mezzo di persone coinvolte) rispetto alle altre organizzazioni politiche e sociali che si agitano in questo periodo e una conferma della scelta fatta non sulla testa degli elettori ma condividendo con loro la responsabilità.

In  questa operazione c’è molto marketing sociale: trasparenza (ancora non del tutto, siamo in attesa dei bilanci), stakeholder engage, revenue (i 2 euro), impatto sociale, impatto di immagine, responsabilità condivisa.

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Parricidio

E’ un po’ che lavoro su questo post, ma non sapevo quando e come pubblicarlo.

Nel frattempo il mondo è andato avanti, e in Italia il PdL si è scisso, anche se ci sta mettendo un sacco. Confesso che volevo sapere come andava a finire la storia del parricidio di Berlusconi da parte di Alfano. Come giustamente ha fatto notare qualcuno, Alfano è una creatura di Berlusconi, non un suo alleato, non un “figlio del berlusconismo” (qualunque cosa voglia dire questa esperessione). Politicamente, è figlio suo. E politicamente, Alfano deve ucciderlo: perché in natura è il giovane che ammazza il vecchio, anche se il vecchio avesse ragione.

Ovviamente il discorso era più ampio, ed ero partito da questo paragrafo:

“Ci disarma infatti l’inclinazione a pensare che la nostra vita sia, innanzitutto, un frammento conclusivo della vita dei nostri genitori, solo affidato alla nostra cura. Come se ci avessero incaricato, in un momento di stanchezza, di tenere un attimo quell’epilogo per loro prezioso – ci si aspettava da noi che lo restituissimo, prima o poi, intatto. L’avrebbero poi ricollocato a posto, formando la rotondità di una vita compiuta, la loro. Ma ai nostri padri stanchi, che si erano fidati di noi, noi restituiamo il taglio di cocci affilati, oggetti scappati di mano. Nel sordo strisciare di un simile fallimento, non troviamo il tempo di riflettere, né la luce di una ribellione. Solo l’immobilità sorda della colpa. Così tornerà nostra, la nostra vita, quando sarà ormai troppo tardi. ”

A. Baricco, Emmaus, Feltrinelli editore.

Come generazione, siamo numericamente inconsistenti, politicamente irrilevanti (ma se dessimo la cittadinanza con meno restrizioni, le cose cambierebbero*) e mantenuti in uno status di “figli di”. Fisiologicamente incapaci di compiere il parricidio, che è evolutivamente necessario alla cultura per crescere: per non peccare di ingratitudine, restituiamo il taglio di cocci affilati. Abbiamo preferito, e questa è responsabilità tanto nostra quanto dei nostri padri, che ognuno di noi si salvasse da solo anziché costruire un futuro come nazione e quindi come generazione e anche per questo è aumenta la disuguaglianza sociale.

La ribellione non ha senso: contro chi ci dobbiamo ribellare, contro chi ci ha accudito, cresciuto, fatto studiare e adesso ci mantiene anche? In realtà sì, ma è difficile da accettare.

A ben vedere però è la nostra cultura gerontofila e gerontocratica di italiani a rifiutare il parricidio: il passato è sempre un’età dell’oro che non si può disconoscere. Così il rinascimentali idolatravano la Roma antica, così si è creato il mito del risorgimento, così quello della resistenza (i nazisti almeno avevano il buon gusto di essere tedeschi, ma i fascisti eravamo sempre noi…) e conseguentemente l’intoccabilità della costituzione, contro ogni buon senso. Non si tratta di ridimensionare il lavoro dell’assemblea costituente, si tratta solo di riconoscere che quel testo è stato scritto in un mondo in cui le potenze erano appena passate da 7 a 2, in cui l’economia doveva ricostruire sulle macerie, in cui i diritti erano stati calpestati dallo Stato stesso, la tecnologia era ad un certo livello. Adesso esistono altri 2 livelli di tecnologia (l’informatica e la rete), la scienza rende obsoleti o insensati alcuni diritti, l’economia è girata al contrario, perché non siamo più noi a fabbricare, il mondo è multipolare e la Nazione deve cedere sovranità al contesto continentale. Come può essere intoccabile la Costituzione?

Come può esistere un mito del ’68, se i fascisti erano stati sconfitti nel ’45?

Fra i tanti problemi dell’Italia c’è il parricidio, o meglio l’incapacità di compierlo. In questi giorni si discute di cambiare la costituzione, con i se ed i ma del caso: perché non è possibile mettere in discussione la costituzione senza tirare dentro i padri costituenti, i partigiani che hanno costruito la repubblica. Il fatto che siano passati quasi 70 anni è irrilevante in un paese gerontofilo e gerontocratico in cui il Presidente della Repubblica, rieletto, è un ex partigiano. La mia generazione (1975-1990) è fatta di mantenuti, emigranti, raccomandati e falliti, perché altre scelte non ci sono state date. I più bravi sono entrati in più categorie contemporaneamente…

Mi permetto di insistere sulla costituzione, pur non essendo un esperto in materia, perché credo sia importante sottolineare fin dove arriva l’impossibilità di parlare male dei nostri padri. Molti paesi hanno sofferto regimi di tipo fascista, ma il nome ed il concetto sono nati in Italia. Eppure la Spagna ha avuto una guerra civile e un ritorno brusco alla democrazia. Eppure la Germania ha avuto un “anno zero” (bellissimo film di cui consiglio la visione, per capire cosa sono davvero le macerie morali), il Cile un referendum. Noi abbiamo avuto la “liberazione”, dovuta ai partigiani o agli americani a seconda di chi la racconta. Ma la liberazione da cosa? Da noi stessi? E’ possibile liberarsi dei propri demoni senza ucciderli? E la costituzione è diventata a sua volta intoccabile, perché consegnata ai “padri costituenti”. Non è più nostra, non è uno strumento per tutelare l’Italia e gli italiani, è sacra e inviolabile. Persino il fascismo in Italia è stato salvato dal parricidio, perché noi siamo stati “liberati” dal giogo tedesco e dai fascisti, che erano evidentemente marziani, poiché di guerra civile non si parla. I nostri padri non sono mai cattivi, nemmeno quando sono consegnati alla storia o quasi. L’unità d’Italia è sacra e intoccabile, anche se sotto gli occhi di tutti è la disparità fra nord e sud, ma evidentemente la colpa è di noi qui ed ora, non dei padri dell’unità che non sono riusciti nei loro intenti. Il rinascimento col suo splendore miope ha rivalutato il passato senza progettare un futuro politico ma è intoccabile, anche se ci ha consegnato legati mani e piedi alle monarchie europee per oltre 2 secoli. E così via…

 

*Mi riprometto di ritrovare l’articolo che spiega bene questa cosa.

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Democrazia

La democrazia greca è parente stretta dell’idea socratica che la somma di verità parziali riesca a superare, attraverso il dialogo, le singole verità di cui è composta. Né aveva torto Protagora nel sostenere che sapere una cosa ma non saperla dire è esattamente come non saperla.

La nostra democrazia però viene fuori dalla rivoluzione francese e porta con sé il suffragio universale nell’idea che l’uguaglianza della dignità fra le persone (lascito del cristianesimo) porti all’uguaglianza dei diritti e quindi anche al diritto di discutere dei diritti stessi. Certamente allargare il numero di persone sembra, a mio parere ingenuamente, allargare il numero di idee. Storicamente non è andata così, perché noi definiamo “matura” una democrazia rappresentativa in cui le idee sono alternative ma complementari e soprattutto poche.

Ora una delle tante proposte che vogliono sostituire il suffragio universale è la cosiddetta “patente per votare”. Siccome stiamo facendo meno che accademia, non mi impunterò sulla facilità con cui questo principio può essere distorto nella pratica, preferisco concentrarmi sul principio. La causa della malattia della democrazia è il fatto che non sono aumentate le idee, per cui bisognerebbe estendere il diritto di voto, non contrarlo. Il principio dovrebbe essere non “una testa, un voto” ma “un’idea, un voto”. Il punto è: come implementarla?

E qui arriviamo alla complessità dei livelli amministrativi. In Italia si vota per il sindaco, per il presidente della provincia, della regione, per le elezioni nazionali (in altri stati anche). Nella pratica poi le decisioni sulle singole questioni vengono prese collegialmente perché separare le competenze “territoriali” non è semplice e spesso nemmeno utile. Un punto dolente, anche perché troppo spesso genera corruzione, è che le amministrazioni prendono decisioni che non hanno molto senso: quale dirigente sanitario, quali dirigenti nelle partecipate (multiutilities in testa). A parte che non si capisce perché queste decisioni debbano essere prese a livello politico, quando spesso sono molto tecniche, capita che la rappresentanza territoriale non sia rispettata.

Perché non votare sempre e comunque per ognuno di questi aspetti? Perché non posso decidere chi dirigerà l’azienda che smaltisce i miei rifiuti o il direttore dell’ospedale dove sarò assistito in caso di bisogno? Perché non rendere elettive anche le magistrature giudiziarie, ad esempio i PM? A parte le storture a cui il sistema si presta, il principio è che serve competenza, tanto per fare questi lavori quanto per giudicarli (c’è un articolo scientifico che ne parla, appena lo trovo ve lo linko). Ma allora,  perché non fare davvero un patentino?

Innanzi tutto mi sembra ovvio – ma voglio sottolinearlo – per certi ruoli dovrebbe essere richiesta una certa competenza: non è che negli Stati Uniti si eleggono i giudici fra tutti i  cittadini. Per cui abilitazioni professionali e/o pubbliche a svolgere certi lavori, e far votare solo coloro che sono interessati: in che modo, ci si può ragionare. In questo modo la cittadinanza diventa attiva, e vota, su temi di proprio interesse. Ma il patentino non deve averlo chi vota, ma chi deve essere eletto!

Alle prossime puntate…

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Premessa

Anni fa mi chiedevo se era possibile vendere separatamente democrazia, metodo scientifico e capitalismo, ovvero se l’occidente fosse un pacchetto unico non esportabile a pezzi.

Oggi mi rendo conto che la domanda non ha senso, perché per ognuna di quelle vale la massima di Churchill sulla sola democrazia: fa schifo, ma è il metodo migliore che abbiamo trovato fin’ora.

Quindi la ricerca va fatta in direzione di un ampliamento della complessità, non di semplificazione: perché la realtà con cui abbiamo a che fare è più complessa, non meno.

Sto prendendo appunti su di un mondo diverso, un mondo come immagino sarà fatto quello futuro, presumibilmente migliore, ma sicuramente diverso. Sicuramente perché capitalismo e democrazia sono in crisi, e la scienza, in quanto figlia della filosofia, da sempre ha fornito più domande che risposte.

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