I mezzi giustificano il fine

(cioè, se i mezzi non funzionano, il fine è errato!)

Paraculesimo

Mi sento in dovere di scrivere per argomentare il mio punto di vista, che nella mia testa sembra complesso ma che forse è solo confuso: per onestà intellettuale però, devo metterlo nero su bianco. Il mio è un punto di vista che non è nemmeno retoricamente intermedio tra pacifismo e realpolitik, essendo più sbilanciato verso la seconda, ma è comunque intriso di desideri utopistici di un mondo multipolare che lo rendono non una semplice analisi dello status quo ma una impossibile soluzione alla empasse a cui si è arrivati. Questo non perché io abbia l’arroganza di pensarmi più intelligente di tutti i numerosi altri che ne hanno scritto e ne scrivono, ma proprio per il contrario: dal momento che io sono nessuno, senza un potere di influenzare alcuno, il mio è un punto di vista leggero e scevro di responsabilità, se non quelle che mi prendo scrivendo.

Partiamo dalla guerra in Ucraina, che a seconda di quello che si vuole (di)mostrare può essere retrodatata sino a Pietro il Grande. La soluzione più veloce della guerra è la resa incondizionata dell’Ucraina e il suo smembramento in favore principalmente della Russia, ma a ben vedere non sarebbe nemmeno la fine della guerra: anche a voler essere cinici e disinteressarci del destino di milioni di persone (cosa che si fa rispetto ad altre parti del mondo, mi viene da dire perché non sono bianchi e cristiani), una volta che si accontenta una potenza sulla annessione di qualcosa, detta potenza vorrà qualcos’altro, per il concetto stesso di impero, che è universale. La resa dell’Ucraina non sembra una soluzione. Un’altra soluzione potrebbe essere la sconfitta dell’invasore, che richiede però di essere definitiva, poiché non sarà una ipotetica caduta del regime di Putin a portare un governo della Russia a non volere più un impero: i Russi si considerano un impero da prima del 1999 e continueranno a farlo per molto, se non gli si offre una alternativa valida. Se non può né vincere la Russia, né perdere, bisogna sparigliare le carte in tavola ed evitare che una guerra prolungata abbia ripercussioni sul mondo intero: sugli occidentali per questioni economiche, sui meridionali per questioni alimentari, sugli asiatici perché l’indebolimento eccessivo della Russia lascia una egemonia impensabile alla Cina.

E veniamo ad una parte più “filosofica”. Il pacifismo, che è l’unica filosofia con una base ideologica solida, ha il problema di trovare una strada che passi essenzialmente dal rovesciamento dei rapporti di forza interni sia agli occidentali che agli altri. Può una resistenza pacifica in Ucraina sconfiggere i Russi? Forse sì, nel lungo periodo, anche se le strategie genocide possono stroncare anche il pacifismo più solido. Può una resistenza pacifista insinuarsi fuori dal blocco occidentale? Forse prima dovrei chiedere se è trasversale a tutto il blocco occidentale, prima di uscirne. Chi parla di scontro di civiltà o più blandamente di scontro di culture, tende ad usare come sinonimi le vicinanze ideologiche e le alleanza militari, ma guardando bene non è assolutamente così. Le stesse alleanze non sono così nette: la NATO è l’unica che sia legalmente definita come tale, ma nei fatti produce gerarchie che non hanno molto a che fare con la cosiddetta “civiltà occidentale”. Se infatti il modello capitalista ha concluso la storia nel 1989, vi sono abissi tra il capitalismo cinese, quello europeo, quello USA, eccetera. Anche limitandoci al rapporto USA-Europa, ci sono delle differenze nell’impostazione della democrazia non piccole: lo stato sociale e il multilateralismo sono tipicamente europei, negli USA vige la pena di morte, l’uso personale di armi da fuoco e di fatto il reato di tortura. Potrei fare esempi invertiti probabilmente, ma vorrei fosse chiaro che mi risulta difficile pensare che gli USA siano culturalmente simili a noi perché siamo legati militarmente ed economicamente a loro da quasi 80 anni: quello che hanno fatto è stato toglierci le castagne dal fuoco tante volte, intervenendo in un conflitto che era di fatto una guerra civile tra nazisti e democratici, non tra nazioni. Ancora, dopo, ci hanno difeso dai Russi e dal loro imperialismo, ma da allora sono passati 30 anni e nel frattempo l’Europa ha cresciuto altre generazioni, altre persone.

Se l’accusa di non essere una civiltà come la nostra agli USA vi turba (ma la democrazia non è solo suffragio universale), allora vi propongo qualcosa di più digeribile, anche se ha un sapore altrettanto amaro: la guerra in Siria e Iraq. Il principale avversario dello Stato Islamico sul campo è il Confederalismo Democratico, che io conosco solamente perché leggo fumetti e guardo Youtube. Tra i nemici dello Stato Islamico, ma anche del Confederalismo Democratico, c’è la Turchia di Erdogan, che è uno dei principali alleati della NATO e l’unico in grado di trattare con la Russia. La Turchia inoltre fa molto del lavoro sporco per conto e pagata dall’Europa, per quanto riguarda i migranti: da questo punto di vista la mia cultura non è nemmeno quella europea. Quando parliamo di scontro fra civiltà, la Turchia da che parte sta?

Mi sembra evidente che l’unico scontro di cui si può parlare è quello tra imperialismi, di cui noi siamo semplicemente nati dalla parte più fortunata: non solo perché siamo più ricchi, ma soprattutto perché (ancora) abbiamo gli strumenti per capire in quale gioco siamo finiti. Attenzione: non voglio porre sullo stesso piano una democrazia imperfetta come quella americana e un totalitarismo come quello cinese, ma nemmeno ha senso mettere insieme Europa, Turchia e USA semplicemente sulla base di una alleanza militare. Stiamo combattendo una guerra per procura, tra USA e Cina, di cui Europa e Russia sono semplicemente pedine e l’Ucraina ha lo sfortunatissimo ruolo di campo di battaglia. Uno scontro tra imperi è inevitabile, finché non si raggiunge un equilibrio, che per definizione cambia nel tempo.

Il mio desiderio è aggiungere un giocatore al tavolo, sperando che sparigli le carte abbastanza se non da fermare questa guerra almeno da prevenirne le conseguenze più nefaste. Questo giocatore può e deve essere l’Europa, che su temi ambientali è LA superpotenza, che impone le regole del consumismo sia alla Cina che agli Stati Uniti. Questo giocatore deve dotarsi di una politica unica energetica, per non dipendere dalla Russia, ma anche militare, per non dipendere dagli USA e ridimensionare il ruolo della Turchia. Questo giocatore deve almeno puntare a essere la potenza regionale, disinnescando i nazionalismi al suo interno. Questo giocatore deve rilanciare la corsa allo spazio, con vettori propri, perché la corsa allo spazio è il veicolo di pace più potente di tutti: risorse, idee, prospettive, vengono completamente ribaltate dallo spazio. Questo giocatore deve stringere una alleanza strategica con l’Africa, perché il benessere del pianeta e soprattutto dei suoi abitanti umani non possono essere nelle mani di piccoli governi locali.

L’unica pace passa dall’Europa, che in questo momento storico deve svuotare il potere delle nazioni, strutture inadatte al XXI secolo, avendo anche l’umiltà di capire che altri, nel mondo, possono essere più avanti di noi: il Confederalismo Democratico ad esempio sembra costruito apposta per un continente piccolo, denso, che non vuole più gli Stati-Nazione ma una partecipazione attiva della sua cittadinanza alla base della propria civiltà.

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Siamo troppi (cit.)

Ho recentemente trovato un sito che parla di controllo demografico in maniera ragionevole: anche se è evidente qual è l’opinione degli autori, non ne fanno una questione ideologica ma sono aperti al dibattito (almeno formalmente, in realtà non conoscendo personalmente la proprietà non ne ho idea).

Una delle critiche che capisco di meno ai problemi riguardanti i cambiamenti climatici è il concetto di “sovrappopolazione”. La prima cosa da chiarire è, come sempre, di cosa stiamo parlando.

Ci sono troppi abitanti sulla Terra? E cosa si intende per troppi? Fondamentale è notare come le peggiori previsioni demografiche non si sono avverate, anche e grazie al fatto che erano state fatte ed era stata individuato un sistema ragionevole per evitarle. Forse la stessa cosa si può dire dei cambiamenti climatici. Resta evidente che per mitigare il riscaldamento globale c’è ancora molto da fare, il che fa supporre che ci sia molto da fare anche per quanto riguarda la sovrappopolazione.

Focalizziamo quindi bene il problema: il nostro pianeta non è sovrappopolato, sono i nostri consumi che risultano eccessivi! Il sillogismo è semplice: se 100 persone consumano 10 a testa per un totale di 1.000 ed il nostro pianeta sopporta 500, allora siamo troppi e dovremo essere 50 che consumano 10 a testa. Mi sembra abbastanza evidente che c’è anche l’alternativa di consumare 5 a testa anziché 10…

Questo ci porta in due direzioni, entrambe sbagliate, ed entrambe sbagliate perché ci focalizziamo sui sintomi e non sulle cause. La prima è la “decrescita felice”, che a sua volta contiene diversi errori. I due più macroscopici che mi vengono in mente sono che si parla di PIL, che è una conseguenza delle nostre azioni e non l’obiettivo, cosa che da molte parti sembrano dimenticarsi, dall’altra è che si associano sentimenti ad azioni politiche, e questi sono comportamenti da stato totalitario. Il fatto che la felicità, o un qualunque altro sentimento, entri nella legislazione è a mio parere la peggiore delle aberrazioni – e infatti è contenuto nella costituzione della più antica “democrazia” del mondo.

L’altra direzione parla di riduzione dei consumi o “frugalità”, che è una trappola ancora più sottile perché sembra molto più ragionevole. Questa ragionevolezza nasce dal fatto che si vorrebbe usare, per amministrare la cosa pubblica o la complessità planetaria, lo stesso metro che si usa per amministrare la propria vita. La frugalità è certo un obiettivo nobile per ognuno di noi come consumatore, ma non è perseguibile come società. Quello che per me individuo è superfluo potrebbe esserlo davvero: un paio di mutande inutili, un divertimento passeggero, un cibo non salutare. Ma quello che per una società è “superfluo” potrebbe essere molto più difficile da stabilire: senza una smodata ricchezza da investire nell’inutile non avremmo arte, cultura, scienza, istruzione, etica.

La filosofia, la regina delle inutilità, è nata perché una classe sociale abbiente aveva schiavi che li liberavano dalle necessità: e questi non si sono limitati alla frugalità, ma hanno perseguito il superfluo nelle sue forme più alte. Senza la filosofia non esisterebbero a cascata tutte le cose che mi permettono di scrivere e a voi di leggere: gli strumenti mentali, gli strumenti materiali, la società che mi permette di accedere a questi, il tempo per me di scrivere e per altri di leggere.

Una società che persegue la frugalità non ha le risorse per sostenere degli intellettuali che non siano funzionali al regime. Arrivo al punto focale della mia critica alla “società frugale”: una società che non ha un surplus di risorse non può permettersi il progresso inteso come ricerca dell’inutilità.

E dunque, siamo troppi o consumiamo troppo? Ritorno all’argomento centrale: non possiamo gestire la complessità in questo modo. Non siamo nemmeno in grado di dimostrare che ci sia una correlazione tra l’aumento della popolazione ed il consumo eccessivo di risorse, figuriamoci stabilire un rapporto di causa-effetto.

Pubblicato senza rileggere, abbiate pazienza

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Europee 2019

Maggio 2019 si vota. Come per gli ultimi 25 anni di tornate elettorali in Italia, almeno che io ricordi, questa è un’elezione decisiva. Prima ero troppo piccolo, ma non dubito che anche allora ci fossero frequenti elezioni decisive. Non uso a sproposito il termine “decisivo”, anche se sono evidentemente ironico: è però vero che siccome chi ha posizioni di responsabilità non se ne vuole in realtà assumere, allora le elezioni stesse hanno il non facile compito di decidere al posto delle persone che sarebbero tenute a farlo. Cioè le elezioni sono “decidenti” e non “deleganti” come dovrebbero essere in una democrazia rappresentativa.

I sondaggi sono chiari: gli euroscettici “non vinceranno”. Infatti hanno già vinto. A coloro che cercano di spiegare il paradosso dell’internazionale nazionalista, e che lo prendono in giro, vorrei spiegare una cosa. Da un lato ci sono numerosi partiti che hanno numerose e sfumate posizioni sull’Europa, sul suo ruolo nei confronti degli Stati membri e nei confronti del resto del mondo: si chiama democrazia. Dall’altro ci sono i cosiddetti sovranisti, che in realtà sono nazionalisti – ci torno più sotto su questa differenza. Costoro hanno un progetto chiaro: mantenere il più a lungo possibile lo status quo, per continuare a lucrare posizioni di rendita, che siano personali o tribali, sulle spalle della comunità. Capite bene che chiunque possa rientrare in questa definizione, compresi gli attuali partiti di maggioranza relativa, i socialisti ed i popolari. Cosa fanno infatti questi partiti se non cercare di spostare l’assetto della politica e delle istituzioni europee di quel tanto che basta per non farsi accusare di immobilismo? Il “parlamento che non decide”, quello di Strasburgo, ha già fatto enormi passi avanti per molte persone, e si può dire tutto il male possibile dell’Unione tranne che non tuteli i diritti civili. E certo la pace è una grande conquista, ma solo per chi vive dentro i confini. Appena al di fuori dell’UE le guerre hanno continuato come e più di prima, soprattutto dalla fine della guerra fredda: aspiriamo al ruolo di Potenza Planetaria e nemmeno a livello regionale possiamo fare nulla. Il Mediterraneo non è un mare sicuro, se si vive sulla sponda sbagliata. La pace dell’Europa non arriva neppure agli Urali. Quindi cosa ha fatto in sostanza il più ambizioso progetto politico della Storia? Molto, se guardiamo da dove è partito. Troppo poco, se guardiamo dove dobbiamo arrivare.

Focalizziamoci un attimo sulla differenza fra nazionalisti e sovranisti. La costituzione italiana, recita

L’Italia e` una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranita` appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Questa è una delle 2 (leggasi DUE) volte in cui viene citata la parola “Italia”. L’altra è nell’articolo 11. In tutto il resto della Costituzione la parola Italia non viene usata MAI. Il termine “italiani” invece compare 6 volte, comprese le note, sempre in riferimento agli italiani all’estero. Fonte:
https://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf

Persone più competenti di me hanno spiegato perché: la sovranità è dei cittadini della Repubblica (termine che compare 148 volte), i quali la delegano, nelle varie forme che sono normate dalla Costituzione stessa, delegano ad altri. Questa delega non è in bianco, e non appartiene all’Italia. Difendere la sovranità dell’Italia, o degli Italiani, non solo non è previsto dalla Costituzione, ma significa semplicemente difendere il proprio orticello di “rappresentare l’Italia/gli Italiani” a discapito della Costituzione.

Cedere sovranità all’Europa era il nostro futuro quando fu scritta la Costituzione e dovrebbe essere il nostro presente adesso, per vari motivi. Questa sovranità viene ceduta dai cittadini ad un ente più grande dello Stato-Nazione-Italia, per una loro comodità, ed è nel loro pieno diritto. L’Italia non deve cedere sovranità all’Europa, in questo i nazionalisti hanno ragione, ma per il motivo sbagliato: l’Italia non ha alcuna sovranità! La sovranità è del popolo, e l’Europa dovrebbe essere un’unione di comunità e di popoli che cedono la propria sovranità ad uno Stato. Come i milanesi decidono per i calabresi – e viceversa – così i tedeschi decidono per gli italiani – e viceversa!

I nazionalisti hanno già vinto perché hanno un chiaro obiettivo, ed è un obiettivo comune: rallentare il più possibile il processo di integrazione e di cessione di sovranità dallo Stato-Nazione allo Stato-Continente. Non dovendo costruire nulla, non hanno bisogno di essere d’accordo più di quanto lo siano già. Sono gli anti-sovranisti che dovrebbero capire che si devono schierare: sono a favore degli Stati per vivere di rendita di posizione, o sono a favore dei cittadini e si mettono in gioco?

Quanti sono i partiti dichiaratamente sovranazionali a queste elezioni?

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“Ci vorrebbe una patente per votare”

Il titolo è virgolettato perché non ne condivido il messaggio.

Però mi pare un ottimo spunto di riflessione: è sbagliato su così tanti livelli che risulta difficile credere che persone intelligenti possano condividere tale pensiero.

Altri hanno sottolineato, prima e meglio di come posso fare io, perché è antidemocratico: il suffragio universale può essere usato come feticcio dalle più efferate dittature, ma è condizione necessaria, ancorché non sufficiente, alla democrazia. Certo può essere mitigato, deve essere responsabilizzato, ma proprio per questo è nata la democrazia rappresentativa: un compromesso fra la responsabilità individuale dei decisori e la volontà popolare degli elettori.

Il limite della nostra democrazia si vede chiaramente nel suffragio universale, in particolare nei risultati elettorali che non ci rappresentano o non ci piacciono, perché la pagliuzza nell’occhio altrui è più evidente della trave nel nostro. Ma se è vero che l’analfabetismo funzionale in Italia ha livelli preoccupanti. allora la democrazia viene a cessare prima del voto, e non si può sperare di raddizzare un torto (la mancanza di strumenti per comprendere la complessità) con un altro torto (la negazione del diritto di voto a chi non ha questi strumenti).

Cos’è la democrazia? Il rendere accessibile a tutti le stesse possibilità, perché dare potere al popolo quando il popolo è eterogeneo significa di fatto dare potere a quelli che sono capaci di approfittarsi degli altri. Dunque, se io non ho accesso alle risorse intellettuali mie o altrui, perché ho avuto una educazione povera, se non ho accesso alle informazioni necessarie a decidere perché la stampa ha un effetto distorsivo sulla realtà, se non ho l’emancipazione economica, cioè sono ricattabile, come posso dirmi libero e quindi partecipare al potere decisionale? 

Si è lottato per permettere il voto anche a chi non è emancipato economicamente, perché non permetterlo anche a chi riceve informazioni false o non è in grado di capire?

Ma il vero motivo per cui non ha senso istituire una patente per il voto, dopo tutta questa filosofia, e anche dopo tutte le dissertazioni tecniche del caso – quale test, chi decide, come si perde e come si guadagna questo diritto – alla fine di tutto rimane l’esempio lampante. 

In Italia serve una patente per guidare l’auto. Il 93% degli incidenti è causato dal fatto che il guidatore non ha rispettato le regole, che ha già dimostrato di conoscere e saper applicare in due distinti esami, teoria e pratica. Quasi 4 italiani su 5 inoltre affermano di essere “rispettosi delle regole indipendentemente dalla presenza di un controllo” e 9 su 10 di essere assolutamente sicuri del controllo che hanno del proprio mezzo. Infine, la maggior parte delle vittime non sono coloro che causano incidenti ma gli altri, in primo luogo i pedoni. (non trovo la fonte primaria di questi dati, diffusi su diversi canali periodicamente)

Non è una meravigliosa metafora della politica? La colpa è degli altri, dal momento che se facessimo un esame sarei in grado di dimostrare che ne so più degli altri. Facciamola, questa patente per votare, e dimostriamo una buona volta che i problemi non esistono…

 

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Nazione, nazionalità e nazionalismo

Questo video pone dei problemi interessanti, ma nessuna soluzione. Cos’è la Nazione e cos’è il Nazionalismo? C’è una parte, quella sullo “studio sull’autostima”, che è spiegata molto male oppure è fuffa completa. Ma lo spunto rimane: nel 2018, è molto più facile cambiare religione, cambiare stato di famiglia, cambiare genere, che cambiare nazionalità. La nazionalità è qualcosa con cui nasciamo, ma che non è definito in nessun modo – infatti esiste uno ius soli e uno ius sanguinis che competono per questa definizione. Ma se è lecito cambiare genere, cambiare religione, cambiare sé stessi, perché non è nemmeno pensabile cambiare nazionalità?

Il più grosso ostacolo sta nel concetto di cittadinanza, che viene sovrapposto con quello di nazionalità ma che nell’età delle migrazioni perde completamente di senso. L’Unione Europea dovrebbe fare di più in questo senso.

TBC – forse

 

 

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Protetto: La Seconda Repubblica

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Il disastro politico di questo paese

è uno specchio della società. E le sue radici sono etiche. Scusate lo sfogo.

Nel momento in cui si sposta la dignità dalle persone alle loro opinioni, tutto è lecito: qualunque stupidaggine ha lo stesso valore di qualunque verità, e l’insulto è gratuito.

Mi era stato insegnato che tutti hanno diritto di esprimere la loro opinione, per quanto insensata fosse, perché tutti hanno la stessa dignità, in quanto umani e cittadini. Invece vedo applicato nella realtà il contrario: ogni opinione ha dignità, ma le persone che le portano avanti possono essere insultate e caricate di odio. Mi è evidente come questa inversione non abbia senso, ma è altrettanto evidente ai miei occhi come si ripeta lo stesso schema: ho diritto a esprimere le mie idee, quindi le mie idee hanno dignità.

E invece no. Le idee non hanno dignità in quanto idee, non possono essere espresse perché tutelate dalla libertà di espressione. La libertà tutela le persone, e solo queste hanno dignità.

Il problema non è che l’idiota ha la stessa dignità del saggio, il problema è che non esistono l’idiota ed il saggio, ma idee idiote ed idee sagge, e persone che le esprimono. Devono essere libere di esprimersi, perché il giudizio non può mai essere anteriore, ma sempre posteriore.

E deve essere tutelata la dignità di una persona, anche se dice delle idiozie. Deve essere chiaro che l’idiozia è un’idiozia, non che chi dice un’idiozia è un idiota ma può aprire bocca. Le persone sono sfaccettate, possono cambiare parere, possono avere punti di vista diversi. Ma le idee hanno conseguenze, e non le si può difendere a prescindere. Bisogna difendere il diritto delle persone a dire cose stupide, invece vedo nel quotidiano la strenua difesa di qualunque punto di vista, purché esista e solo perché esiste. La diretta conseguenza di questo è l’odio verso il diverso: poiché non posso odiare un’idea, che magari è aberrante, sono costretto ad odiare chi la esprime, perché se una cosa mi ripugna, non posso accettarla.

Bisogna accettare il diverso, quando il diverso è una persona, non quando è un’opinione. Un’opinione ha una dignità relativa, nel suo contesto, che può essere scientifico, etico, politico, o altro. Ma ha un metro con cui essere misurata, con cui essere etichettata come giusta o sbagliata, come aberrante, come avente o non avete diritto. E ognuno decide quali idee hanno diritto di esistere nel proprio riferimento. Accettare la libertà non significa accettare tutto purché sia, significa accettare che altri la pensano in maniera diversa, magari oggettivamente sbagliata (nei contesti in cui oggettivo ha un significato), ma senza scambiare l’ordine delle cose.

Le idee sono stupide e possono essere odiate, le persone no. Ma il potere esprimere le idee, non siginifca doverle accettare tutte: questo è peggio del relativismo etico, è peggio del nichilismo, è semplicemente stupido, perché tutto ed il contrario di tutto significa semplicemente niente. E per non dire niente si può evitare di sprecare tempo.

Scusate lo sfogo, di nuovo.

 

 

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Non avevo capito nulla

Contrariamente alle mie abitudini, uso questo spazio per esprimere un’opinione personale sul referendum. Oggi è giorno di silenzio elettorale perché si vota, ma:

  • internet è un’altra nazione
  • non parlerò nel merito

Si è detto che Renzi ha fatto male a personalizzare questo referendum, e che a causa di questo suo errore iniziale rischia di perderlo. In realtà Renzi non rischia nulla.

Il fatto di personalizzare il referendum gli ha consentito di non entrare nel merito di una riforma debole e in parte zoppa, di non entrare nel merito del fatto che la proposta di riforma è stata fatta in condizioni limite, cioè legalmente valide ma moralmente no:

  • perché frutto di una maggioranza parlamentare
  • perché frutto di un parlamento eletto con una legge incostituzionale

Ripeto, non voglio entrare nella polemica riguardo a questo: il parlamento è legittimo e tutto ciò che è stato fatto ha rispettato la legge. Ritengo che moralmente sia stata una forzatura, ma questa è un’opinione personale.

Politicamente però Renzi è un genio, e questo ce l’ha in comune con Berlusconi (questo e il fatto di essere sistematicamente insultato e sottovalutato dai suoi detrattori).

Dico “politicamente è un genio”, perché ha personalizzato un conflitto, in modo da convogliare su una riforma zoppa:

  • i suoi sostenitori, senza se e senza ma
  • coloro che pur non sostenendolo, ritengono che la riforma sia meglio di niente (ad esempio il professor Romano Prodi)

Contemporaneamente, in caso di sconfitta:

  • può sempre dire di averci provato (cosa vera)
  • ha sempre da giocare la carta “non esiste una alternativa attorno al no” (cosa altrettanto vera ma assolutamente non pertinente)

In questo modo lo scenario peggiore per Renzi è che non cambi nulla, cioè lui rimanga in posizione di forza relativa e i suoi avversari non abbiano cartucce da giocare. Ovviamente potrebbe addirittura vincere il sì e questo avrebbe delle notevoli conseguenze sulla carriera di chi ha fatto propaganda per il no, soprattutto se si tratta di leader logori (Silvio Berlusconi, Massimo D’Alema). Non gli darebbe carta bianca, semplicemente aumenterebbe il suo vantaggio (su questo ho la stessa opinione di Francesco Costa)

Quindi Renzi ha già vinto, ma questo è normale se è sempre lui a dare le carte, e finché i suoi oppositori non hanno la forza (o la volontà) di avere altri argomenti, vincerà sempre. Buon referendum a tutti.

 

Addendum del maggio 2018: in realtà si è bruciato perché nel frattempo sono emersi altri giocatori, con altre carte, e perché non sa stare zitto se non per dire “d’ora in poi starò zitto, però…” in continuazione.

 

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Social Media Coso

Ribloggo questo articolo perché molto azzeccato:

Il Social Media Marketing non esiste.

Ben scritto e in linea con l’idea che bisogna distinguere il fine dai mezzi, altrimenti si parla di aria fritta.

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Un gioco per parlare di cose – reblog

Riporto un interessante post di Roberto Sedda.

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