Repubblica sta portando avanti in questi giorni (a partire dall’8 marzo) un’inchiesta sulla prostituzione.
Molte (e sono in aumento) sono le ragazze o le donne che lo fanno “per scelta”, ma in questa categoria rientrano anche quelle che sono spinte dalla disperazione economica, in un mondo del lavoro che già è crudele ma si accanisce in particolare sulle donne e sui giovani. Conseguentemente le giovani donne sono quelle che risentono doppiamente del fallimento del mercato del lavoro italiano.
Intanto vorrei sottolineare come i commenti siano allineati a quelli che 40 anni fa si facevano sull’aborto: “esiste sempre una scelta, esiste una dignità, un etica” eccetera la fanno da padrone, seguiti a ruota da “è solo una convenzione sociale di bacchettoni e bigotti ma in realtà ogni adulto è libero di fare ciò che si vuole” e solo una piccola minoranza si occupa del problema vero che è, nel caso dell’aborto come in quello della prostituzione, la situazione psichica e sociale di chi compie il gesto e lo paga per tutta la vita.
Per mia fortuna non ho dovuto affrontare personalmente questi problemi e quindi posso fare una riflessione che spero non risulti troppo oziosa.
Mi chiedo però: la prostituzione in senso letterale, ovvero la mercificazione del proprio corpo, è davvero l’unica forma di compromissione della propria dignità? Quante persone vendono la propria dignità in cambio di uno stipendio? Quante persone, soprattutto nella mia generazione, sono costrette ad abbassare non solo le proprie aspettative in termini di soddisfazione lavorativa, ma soprattutto ad essere umiliate per aver compiuto delle scelte umili? A quante persone viene negata la dignità del lavoro o anche di un lavoro?
Se per prostituzione non intendiamo la mercificazione del corpo ma la vendita della dignità in cambio di denaro, allora quasi nessuno si salva nella generazione fra i 25 e i 40 anni, quella certificata di fallimento dalla stessa politica. Siamo una generazione di prostitute, di lavoratori che accettano di fare più o meno qualunque cosa, gettando da parte aspettative e spesso anche formazione. E siamo in questa condizione perché un’intera classe dirigente ha fallito clamorosamente il proprio compito.
Sia ben chiaro che non intendo sminuire o giustificare nessuno per le proprie scelte, perché credo nella libertà e soprattutto nella responsabilità di ciascuno, anche se le scelte di chiunque influiscono su chiunque altro. Voglio però sottolineare come la mancanza di un progetto abbia schiacciato un’intera generazione, e come prima di trovare dei responsabili sia necessario ricostruire un futuro per quasi 12 milioni di italiani.
(Aggiungo anche quest’altra fonte di dati)