Domenica scorsa i militanti ed i simpatizzanti del PD hanno votato per eleggere il segretario nazionale del PD.
Formalmente questa elezione è lontana dalle politiche, anche se i dietrologi sono al lavoro 24 ore su 24 per fornire spiegazioni più convincenti del perché e del percome. Una delle domande più frequenti è “perché per eleggere un segretario si fanno votare anche i non iscritti?”, subito seguita dalla sottolineatura che il dato delle primarie è in questo caso molto discordante con quello dei circoli e quindi a maggior ragione non si sarebbe dovuto fare. “Quando si nomina un amministratore di condominio votano solo quelli del condominio, non quelli di tutta la città” o “quando si elegge il sindaco di una città non votano tutti gli italiani”.
Gli errori che a mio parere sono insiti nel ragionamento sono di due tipi: uno di tipo logico e uno di tipo pratico. Specularmente, i motivi per cui il PD ha scelto di fare le primarie sono due: uno ideologico che risponde all’errore logico e uno di opportunità che risponde all’errore pratico.
L’errore logico è considerare le ricadute di quello che facciamo solo nell’ambito circoscritto in cui operiamo. Esistono stakeholder aldifuori della nostra organizzazione, sia essa un partito o una azienda. Il sindaco di una città prenderà decisioni le cui conseguenze ricadranno anche su quelli che in città ci lavorano senza abitare o aver diritto di voto: immigrati, pendolari, eccetera. Quindi se il sindaco fosse eletto dai lavoratori della città la cosa non sarebbe così strana, o no? Il condominio deciderà se far passare la pubblicità, come e quanto pulire, riscaldare, eccetera: queste scelte ricadranno sia sui fornitori pagati che non dovrebbero avere più di tanto voce in capitolo che sui fornitori “estranei”, ad esempio i postini, i quali si adatteranno a decisioni altrui. Il PD ha ideologicamente considerato che essendo il partito di maggioranza relativa in parlamento e nel governo, le sue decisioni influenzeranno la vita di tutti gli italiani, sia quelli che lo hanno votato l’anno scorso (con un candidato e segretario diversi) sia tutti quelli – la maggior parte – che non lo hanno votato.
L’errore pratico è pensare che il risultato di questa operazione allargata sia invalidato dalla discrepanza con il voto degli iscritti. Se il voto delle primarie dovesse coincidere o allinearsi col voto degli iscritti, le primarie stesse sarebbero una perdita di tempo. La differenza di voto invece serve a capire qual è l’interesse dell’utente primario, ovvero il proprio elettore fidelizzato, quello che va a votare alle primarie. L’opportunità, per il PD, è stata duplice: una prova di forza (circa 2 milioni e mezzo di persone coinvolte) rispetto alle altre organizzazioni politiche e sociali che si agitano in questo periodo e una conferma della scelta fatta non sulla testa degli elettori ma condividendo con loro la responsabilità.
In questa operazione c’è molto marketing sociale: trasparenza (ancora non del tutto, siamo in attesa dei bilanci), stakeholder engage, revenue (i 2 euro), impatto sociale, impatto di immagine, responsabilità condivisa.